
Quest'anno (2008) ricorrono tre date importanti per la Rev. Madre Suor Geltrude:
50 anni di Professione Monastica
30 anni di vita in Angola
75 anni di età
Chi è Suor
Geltrude?
Una santa donna dagli
occhi di bambina e dal cuore di mamma che dona tutta se stessa per il bene
dei fratelli angolani …
Suor Geltrude Filindeu è nata ad Orgosolo in Sardegna, entra nel Monastero Trappista di Vitorchiano (Viterbo) nel 1957.
Nel 1968, assieme a 20 monache del monastero di Vitorchiano, danno vita ad una fondazione trappista in terra toscana, il Monastero di Valserena – Guardistallo (Pisa)
Nel 1980 parte con altre due sorelle del Monastero di Valserena per il Centro Angola, nella città di Huambo per aiutare una Comunità Trappista tutta Angolana appena fondata: Monastero di “Nassoma Y'Ombembwa” (Nostra Signora della Pace).
Suor Geltrude ci racconta :
“L'Angola presenta tutte le caratteristiche di una splendida terra tropicale: calde pianure, foreste rigogliose, estese piantagioni di caffé e cotone, fertili altopiani, ripidi pendii montani, savana, sottosuolo ricco di diamanti e petrolio. Tutto questo consentirebbe all'Angola di essere un paese ricco. Eppure è una nazione tra le più povere del mondo a causa di una guerra durate ben 42 anni.
L'Angola, colonia portoghese dal XVI secolo, ha conosciuto l'epoca del traffico degli schiavi. Nel 1960 inizia la lotta clandestina dei tre movimenti angolani per l'indipendenza: MPLA, UNITA, FNLA.
Nel 1975 si proclama l'indipendenza dell'Angola. Il movimento MPLA, che raggiunse la capitale Luanda per primo, si insediò al potere.
Nacque così un governo transitorio appoggiato da Sovietici e Cubani, entrarono le truppe Zairesi e Sud Africane e iniziò una guerra civile atroce tra i movimenti angolani, una guerra che è durata 42 anni.
La vera svolta è stata nei primi mesi del 2002. Il capo storico della forze ribelli “UNITA”, Savimbi è rimasto ucciso in un conflitto armato con le forze governative.
E' difficile cancellare decenni di conflitto civile sanguinoso e crudele.
La pace che il popolo tanto aspettava è finalmente arrivata ma ogni giorno continuano a morire angolani a causa delle carenze alimentari e delle mine sparse in tutto il suolo.
Tantissimi sono i mutilati adulti e bambini.
In Angola c'è un governo al potere da 30 anni, le elezioni libere e giuste si rimandano senza fine. Non esiste una vera democrazia, domina la corruzione, l' 80% degli angolani è sfruttato dal 20%.
Centinaia di migliaia di persone vivono su cumuli di immondizia, in baracche fatte di lamiera e cartone, tra scoli di acque nere, cercando tra la stessa immondezza qualcosa da mangiare o rivendere per sopravvivere.
Gli angolani sono un popolo nobile e forte, hanno sofferto con dignità, fede e speranza un lungo e doloroso calvario.
Spesso, nei momenti più duri, ho sentito ripetere:” La pace non si cerca con la guerra, solo Dio può darci la pace vera che ci rende fratelli nel perdono reciproco ”.
Ho vissuto con le sorelle della mia comunità, in mezzo alla guerra per 26 anni. Attorno a noi migliaia di feriti, mutilati, bimbi denutriti, rifugiati, malattie di ogni tipo, attacchi di guerriglia, mine sulle strade, bombardamenti giorno e notte.
Abbiamo cercato di vivere il nostro carisma monastico adattando la nostra vita alla situazione particolare di guerra che viveva l'Angola in quel momento.
Non potevamo isolarci dicendo che la nostra vita è puramente contemplativa o chiudere la porta in faccia a centinaia e migliaia di persone che morivano di fame intorno a noi. Abbiamo cercato di testimoniare il Vangelo con la carità verso i nostri fratelli angolani. Abbiamo condiviso vita, sofferenze, paure, insicurezze, speranze, gioie e soprattutto la fede.
Alla nostra cappella avevano accesso tutti, piccoli e grandi, mutilati, feriti, epilettici. I mutilati non avevano stampelle: strisciavano con i mozziconi di gambe sul pavimento della nostra cappella fino all'Altare per fare la comunione, con una gioia visibile come se fossero i più fortunati del mondo. La loro gioia era una grande lezione per noi: più che dare io ho ricevuto, gli angolani mi hanno insegnato la pazienza, l'essenzialità delle cose.
Gli anni 80-85 sono stati particolarmente duri anche per noi: ci mancava il necessario.
Siamo arrivate a Huambo senza aver immaginato la realtà che ci attendeva. Eravamo partite dall'Italia con 20 Kg . di bagaglio, circa 10 ore di volo, tutto minuziosamente controllato dalla polizia di frontiera.
Il coprifuoco in Angola era continuo, giorno e notte. Ci sono voluti mesi prima di ricevere qualche aiuto dall'Italia; dipendevamo direttamente dalla Provvidenza che, giorno dopo giorno, non ci ha fatto mancare il necessario attraverso la Croce Rossa.
Ogni giorno amavo dividere la mie refezioni con i bambini scheletrici; bastava anche un cucchiaino di riso per farli felici e salvarli dalla morte.
Bisognava però stare molto attenti perché i bambini erano talmente affamati che dovevano nutrirsi gradualmente, altrimenti morivano sul colpo.
Negli anni 80-86 ho battezzato molti bambini in mancanza del sacerdote. Erano le mamme a chiedere il battesimo per i loro bambini in punto di morte. Normalmente, quando si amministrava il battesimo, un gruppo di rifugiati pregava con me il Credo, il Padre Nostro e l'Ave Maria e poi la formula della Chiesa per il battesimo.
Quando moriva qualcuno, gli si copriva il capo con uno straccio o una scatola, si scavava la fossa dove si poteva e si seppelliva. Spesso si trovava gente morta ai margine delle strade o nei campi.
Per me è stato un grande shock vedere un campo immenso, recintato dalla Croce Rossa internazionale a Katchiungo, 60 Km . da Huambo, dove giacevano sulla nuda terra bambini, uomini, donne qua e là, magri fino all'osso, in fin di vita.
Avevo una voglia di soccorrere tutti, correvo da un bambino all'altro attraverso il campo, li fissavo con tenerezza, li accarezzavo, li prendevo in braccio, piangevo perché non potevo salvarli.
Ho visto un bambino dentro un fosso, sembrava fosse morto, entro dentro…, il bambino era ancora vivo…, ma non potevo fare niente. E allora le mie lacrime a fiumi…
Servire la mia comunità religiosa, la Chiesa, gli angolani, soprattutto i più poveri e sofferenti è stata la mia passione e gioia unica, perché il volto di ogni fratello era il volto di Cristo, ogni gesto di aiuto era un contatto immediato con l'umanità di Cristo vivente in ogni fratello. Infatti Gesù ha detto: “ Tutto quello che fate a uno di questi piccoli lo avete fatto a Me ”. Non c'è amore più grande che dare la vita. Ho sofferto con chi soffriva, amato e donato con una grande percezione di ricevere da tutti più che donare.
Quando lavoravo in mezzo ai rifugiati avevo sempre infilato al braccio un cesto fatto di canne, che conteneva tutto il necessario di pronto soccorso per curare le ferite e le medicine per le varie malattie.
Portavo anche involtini di zucchero, latte in polvere per soccorso dei bambini denutriti. Bisognava imboccarli e stare attenti alle quantità. Loro erano avidi di nutrirsi, ma se si spuntava la dose potevano morire sul colpo.
Tutti i giorni bisognava avere tanto tempo, pazienza e amore per ascoltare la storia di ciascuno.
Il più delle volte la comprensione, l'incoraggiamento erano le cure migliori.
In mezzo a migliaia di denutriti avevamo organizzato una mensa.
Il piatto base dell'Angola è farina di miglio accompagnata da fagioli e verdure.
Mangiare una volta al giorno era una grande fortuna. Non si perdeva una briciola.
I bambini mi chiedevano di fare il turno per pulire le pentole, non c'era bisogno di acqua: le pentole diventano lucide a furia di leccarle con la lingua.
Avevamo organizzato una scuola di alfabetizzazione. Ai bimbi piaceva molto imparare, cantare: tutti pendevano dalle nostre labbra con gli occhioni spalancati.
A loro piace molto la danza.
Tutto il popolo, uomini e donne, erano mobilitati dalle prime ore del giorno per esercitazioni militari, tutti senza mangiare.
La polizia anti-terrore del Governo, composta anche da militari cubani e sovietici, realizzava rappresaglie giorno e notte, prendendo i ragazzi da 12 anni in su per la vita militare, senza formazione venivano mandati nei luoghi di guerra, oppure prendevano persone sospette, arrestate, torturate, accusate di mettere bombe, spesso erano innocenti, non si potevano difendere, venivano fucilati…
Se dovessi continuare non finirei più: è una storia di 26 anni di guerra.
Un giorno l'Angola scriverà la storia dei sui martiri…
Voglio precisare che, i primi 12 anni li ho vissuti nel Centro Angola, ad Huambo.
Nella mia comunità Trappista, la nostra casa si trovava nella periferia della città in mezzo alla gente più povera ed esposta anche ai pericoli della guerra e dei ladri.
Dopo l'uscita dei Cubani e dei Sovietici dall'Angola, condizione richiesta da Savimbi per fare un anno di tregua in preparazione alle prime elezioni politiche in Angola, realizzate poi nel 1990-92. Savimbi non accettò l'esito delle elezioni. Rientra clandestinamente da Luanda-Huambo e dichiara guerra. Non esistevano più strade, tutto era minato… Funzionavano gli antiaerei sopra le città.
L'atterraggio degli aerei era a Spirale per depositare viveri e materiale bellico. A questo momento la mia comunità mi ha chiesto di lasciare Huambo per andare a vivere a Luanda, capitale e porto di mare dove cominciavano ad arrivare i container di soccorso dall'Italia. A Luanda, nella periferia, in mezzo a due milioni di rifugiati ero riuscita a trovare un posto, 4 ettari di terreno, comprarlo e legalizzarlo e anche recintarlo con l'aiuto dei rifugiati. Così ho creato un punto di appoggio per stazionare la merce e poter soccorrere la mia comunità di Huambo e tutte le migliaia di persone che la mia comunità aiutava direttamente in mezzo alla guerra.
Ho lavorato anche per il seminario e l' Episcopio di Huambo.
Huambo era ormai in piena guerra giorno e notte. Le strade piene di cadaveri che i cani si preoccupavano di ripulire. Due settimane dopo scoppiò la guerra anche a Luanda.
In una settimana a Luanda 3.000 morti, io vivevo in una zona fuori mano, pericolosa…
Una notte mi hanno puntato 5 fucili per mezz'ora, ho visto la morte in faccia… sarebbe troppo lungo raccontare i particolari – solo Dio mi ha salvato in vista a anche del lavoro che mi attendeva per aiutare tutti.
In quei giorni, via satellite, radio Caritas di Huambo, supplicava chiedendo soccorso… da allora il mio lavoro è stato il pronto soccorso da Luanda a Huambo – SDOGANARE! Container da Luanda e fare viaggiare viveri e medicinali all'interno dell' Angola in mezzo alla guerra. Le strade erano tutte minate… imboscate di guerriglia… l'unica possibilità via aerea.
In Angola c'erano i Caschi Blù, l'ONU, PAM, UNICEF, Croce Rossa; con tutti questi ho collaborato. Mi sono sentita accolta e credibile.
Ho fatto molte conoscenze, mi spiegavo in Francese, Inglese, come potevo. Tutti mi conoscevano, mi chiamavano la Suora che ferma gli aerei .
Il mio scopo era chiedere continuamente un passaggio negli aerei con i miei sacchi di viveri, tonnellate di viveri e medicinali per soccorrere i feriti e quanti morivano di fame all'interno dell'Angola.
L'esercito militare dell'Angola mi ha dato molta possibilità di trasporto con gli aerei dell'esercito – Ho viaggiato con gli aerei militari che trasportavano materiale bellico. Mi prendevano una tonnellata per volta di viveri e medicinali – viaggiavo con le bombe, mine, cannoni. Mi sedevo sopra i sacchi con la corona in mano e recitavo molti rosari. La morte in faccia l'ho vista un'infinità di volte, ma Dio mi ha sempre salvato e mi ha dato la forza e il coraggio per affrontare tutto pur di salvare le vite di quanti soffrivano più di noi.
Quando partivo da Luanda la polizia mi diceva che io collaboravo con l'Unita, quando arrivavo a Huambo i militari dell'Unita mi puntavano le armi, non mi lasciavano scendere dall'aereo dicendo che venivo dal lato nemico. Più di una volta ho discusso a non finire dicendo loro che la finissero con una guerra senza senso - Noi siamo tutti fratelli, figli dell'Angola e figli di Dio…
Se dovessi continuare non la finirei più, solo voglio dire che la guerra è un'assurdità e viene dal diavolo, si combatte per orgoglio e per odio verso il proprio simile, e tutto questo viene dato dallo spirito del male e chi paga sono gli innocenti.
Penso che in Cielo ci siano schiere di MARTIRI Angolani”.
Irma ( Suor ) Geltrude un giorno mentre ci stava dedicando un po' del Suo tempo prezioso, ci ha emozionato nel raccontarci due sogni che aveva fatto mentre cercava di riposarsi dopo numerose fatiche…
“…non ricordo la data di questo sogno, era durante la mia vita religiosa in Italia. Vidi una grande montagna isolata dalle altre vette, era così alta che quasi toccava il cielo. In cima alla montagna appariva un santuario, come una grande città luminosa, quella luce mi ha fatto sentire il desiderio di salire fino alla sommità. Decisa mi misi a girare intorno alla montagna, continuavo a girare ma non esisteva un sentiero, la montagna era coperta di steppe, alberi, rovi, pietre ecc. Ma, io ostinatamente volevo trovare il cammino… ad un certo punto mi fermo, mi apriva la strada un grande crocifisso grondante di sangue, se volevo salire dovevo seguire dietro a LUI!
Mi sono svegliata con una forte certezza che solo Gesù è la nostra strada.
LUI è la VIA , la Verità, la VITA.”
“…Un secondo sogno, questo in Angola. Era un periodo che curavo la malaria ed avevo molta febbre. Il giorno prima avevo visitato l'Ospedale dei Padri di Don Calabria, nel GOLF, a Luanda. Osservavo come un medico, fratello, della comunità di Don Calabria, assistiva molta gente inferma, molti tra la morte e la vita, piccoli e grandi. Molta sofferenza umana che il medico fratello curava con tanto amore e sollecitudine. A quella vista, io adoravo il Cristo presente nell'umanità di ogni fratello. E ho fatto una via crucis vivente: Gesù continua in noi la sua via dolorosa fino alla fine del mondo, il volto di ogni uomo è il volto di Dio.
Quel pomeriggio rientrata nella nostra casetta di Kikolo, continuavo con la febbre… meditando che Dio si incarna ogni giorno nella realtà che viviamo… La notte il sogno : Mi trovavo adagiata sull'erba in cima ad una alta collina. A un certo punto mi appare in fondo alla colle una grande vallata. Era un luogo pieno di fiori, di verde, di sorgenti, di fiumi di acqua pura come cristallo, in un attimo si è tutto illuminato, era un luogo di luce. Ho capito che era l'immagine del cielo. A quel momento una voce mi sussurra all'orecchio: TUTTO QUESTO TI ASPETTA… io risposi: Non lo merito…Meglio dare tutto questo ai martiri dell'Angola, ai più poveri, ai più piccoli che sono morti di fame, agli innocenti che sono stati massacrati… ai militari che sono morti con la cancrena senza cure, a quelli che sono stati bruciati vivi, ai 120 missionari trucidati in Angola. Allora vedo una processione di gente erano tutti i Santi, erano venuti per visitarmi e mi diedero l'Eucaristia. Subito mi sono svegliata, continuavo a lottare con la febbre… Ma con una certezza profonda che Dio ci ama, che Dio è misericordia, in Lui siamo salvi, il suo amore è grande per tutti”.
A Luanda, ha fondato un Ospedale, (solo la notte che noi eravamo ospitati, sono nate ben 2 meravigliose bambine); la Farmacia, un'azienda agricola dove lavorano una ventina di persone (venti famiglie che grazie allo stipendio che prendono, posso vivere decorosamente), è il punto di appoggio delle Suore di Huambo, si interessa dei container, dei rapporti diplomatici, di tutti e di più oltre a fare continuamente del bene e dedicarsi alla preghiera monastica.


Claudina Bertola, nata a Calino - Brescia, ha 33 anni e sta
dedicando tre anni della sua vita a fratelli poveri e bisognosi.
Attualmente si trova a KOROGOCHO - KENYA - nelle immense baraccopoli che
circondano Nairobi, dove, oltre 100.000 persone vivono confinate in
un'area di 1 km e mezzo per 2, dove si lotta per la vita quotidianamente:
per la terra che non appartiene a loro, per il lavoro che non c'e, per la
violenza, la delinquenza, l'alcoolismo, la prostituzione che crescono in modo
esponenziale.
Eppure dentro questa realtà c'è la VITA, c'è la SPERANZA, la
voglia di RISCATTO, il saper SOGNARE! Dio è già lì...profondamente
incarnato nelle loro lotte e aspirazioni! Nella loro povertà e miseria...perchè
LUI sa da che parte stare!
Quando scende il sole a Korogocho le strade diventano incredibilmente buie. Non
ci sono lampioni lungo i lati e dentro le case le luci che si vedono sono
deboli, alimentate dal gas o dalla legna; laggiù non c'è elettricità.
Si cammina cercando di non finire
dentro le grosse buche che si aprono all'improvviso sul cammino o nei
rivoli di melma che si trovano ai lati della strada, le uniche fogne che
esistono in quell’ immensa baraccopoli. La mancanza di tutto ha alimentato la
miseria materiale e con estrema naturalezza e semplicità la loro scelta
"eroica" e spirituale, la solidarietà è stata minata alle radici,
prostituzione e violenza dilagano. Eppure, in questa realtà, c’è
chi ha scelto di vivere proprio a Korogocho, tra gli ultimi, per dividere
con essi la loro esistenza. Con la loro presenza e condivisione cercano di
dare una luce di speranza agli abitanti delle baraccopoli. Il Mukuru (così è
chiamato dalla gente) è un’enorme montagna
di rifiuti dove uomini, ragazzi e bambini cercano di trovare qualcosa da poter
vendere e vivere così un altro giorno. Cercano e recuperano qualsiasi cosa
rovistando a mani nude tra le immondizie putrefatte, rifiuti ospedalieri (gli
ospedali di Nairobi invece di bruciare i loro rifiuti, mandano tutto in
discarica, siringhe, bende insanguinate, rifiuti tossici, ecc.)
Claudina Bertola volontaria, inviata da una Ong, aiutata da una altro bresciano
Gino Filippini (volontario laico) e con la collaborazione di Alex Zanotelli
missionario comboniano, hanno creato una cooperativa formata da gente della
discarica che vende il riciclato. Il guadagno viene distribuito fra ragazzi e
donne che prima venivano pagati pochissimo.
Quante
volte Claudina incontra bambini feriti a colpi di macete, adulti insanguinati a
causa di lotte e litigi, ragazze che si prostituiscono pur sapendo di incontrare
l’AIDS, (nessuna ragazza vorrebbe prostituirsi, ma non c’è altra via
dicono, morire di Aids o morire di fame e la stessa cosa...)
Tutto
quello che Claudina possiede è condiviso, tutto è prezioso e deve essere usato
con molta moderazione; l’acqua deve comperarla, portarsela nella baracca con
una tanica, recuperarla fino all’ultima goccia, - è un bene prezioso -.
La
preghiera e tanta fede è il suo sostegno e l’aiuto giornaliero, la povertà
non è la sola piaga che incontra e che deve giornalmente combattere, vi è
l’alcoolismo (80% degli adulti) il 50% della popolazione è sieropositivo,
prostituzione, droga...
"...Vivere
e parlare di missione significa
parlare innanzitutto e soprattutto della vocazione cristiana, vivere la missione
significa annunziare Gesù Cristo, vivere la missione significa testimoniare il
Vangelo…” dice
papa Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio, vale a dire annunciare
la buona notizia, ma innanzitutto e soprattutto testimoniarla.
Brava
Claudina, continua così!
Per
comunicare con Claudina si può scrive a:
BERTOLA
CLAUDINA
Kariobangi
Catholic Parish
P.O.
BOX 47714
NAIROBI
- KENYA
AFRICA
Oppure
inviare una e-mail: claudinakoch@yahoo.it


CARLO e ANNA
- una voce da Chacco in Perù

Dal 1991, un intera famiglia di volontari si trova a Chacco in Perù ad oltre
3400 m/sm e distante da Lima circa due giornate di strada col camion.
Papà Carlo Chezzi di 45 anni originario di S. Andrea di Concesio, mamma
Annamaria Ongaro di 42 anni originaria di Collebeato, Sara di 15 ed Irene di
8 (nata in Perù tra i loro poveri amici).
Affiliati al gruppo "Operazione Mato Grosso" stanno dedicando la loro vita
per aiutare quella popolazione che è povera di tutto tranne che della loro
semplicità e di quanto offre il creato sulle montagne andine.
Cercano di offrire ai ragazzi locali delle possibilità diverse da quelle
avute dai loro genitori insegnando loro a svolgere alcuni importanti lavori;
dapprima hanno fondato un laboratorio per la costruzione di coppi e tegole
con relativo forno poi una falegnameria (vedeste cosa sanno fare con le loro
mani).
In questo periodo 2002 stanno organizzando una scuola edile che darà loro la
capacità di costruire ed ampliare le loro rudimentali case.
Hanno recuperato un vecchio fabbricato allargandolo per poter ospitare
appunto quei ragazzi che si presentano per imparare a guadagnarsi il futuro
in modo intelligente e dignitoso.
Tra una attività e l'altra cercano di animare la comunità inventando giochi
e concorsi i cui premi possono essere un materasso o una coperta che sino
all'età di 14/15 anni non hanno mai avuto (tutto ciò la dice lunga sulle
loro condizioni).
Riportiamo una lettera spedita dal Perù prima del Natale 2001:
"... Carissimi, grazie per l'affetto che avete per noi, nello starci vicino
e aiutarci. Qua c'è sempre tanto bisogno di persone che concretamente si
"tirano su le maniche", il lavoro è tanto. Ora siamo in un periodo in cui i
viveri scarseggiano: a malapena sono sufficienti per pagare gli operai, per
dar da mangiare ai ragazzi e alla gente a cui si da il lavoro.
Non riusciamo più a darli a chi viene a chiedere, a chi viene magari con due
uova o un po' di grano per cambiare con pasta, zucchero, riso ... CI TOCCA
DIRE DI NO! E NON E' FACILE...
Ora noi abbiamo davanti il Natale e dovremmo fare un regalo a tutti i
bambini, qualche chilo di viveri... il panettone...
Perchè per Natale non pensate di fare un bel regalo a questi bambini?
Parlatene ad altri di questo bisogno...
Anche chi non crede in Dio, può avere compassione di chi è povero
(ricordiamoci la parabola del Buon Samaritano...)
Ciao con affetto Carlo, Anna, Sara e Irene."
Chi volesse aiutare questi nostri generosi amici ad affrontare le loro
grosse difficoltà anche economiche, può rivolgendosi direttamente ai
genitori di Carlo a S.Andrea di Concesio, nell'immediata vicinanza della
vecchia chiesa parrocchiale.


Chi volesse aiutarlo nel compimento di questa enorme opera può farlo
inviando offerte e/o contributi a:
Amici delle Missioni - 25024 Bagnolo Mella (Brescia)
Viale della Memoria, 2 - Tel. 030.6822205
alla attenzione del Sig. GIGI
MARINI
specificando:
per IL VILLAGGIO DELLA
SPERANZA
o versando sul c/o BANCO
DI BRESCIA FIL. BAGNOLO
ABI 03500 CAB 354041
C.G. 10383
***
UN RAGAZZO STAVA CAMMINANDO LUNGO LA
SPIAGGIA DOPO UNA TEMPESTA CHE AVEVA PORTATO SULLA RIVA TANTISSIME STELLE
MARINE. LE RACCOGLIEVA E LE RIGETTAVA IN MARE. UNA PERSONA PIÙ ANZIANA
OSSERVAVA LA SCENA . ALLA FINE SI AVVICINÒ E DISSE AL GIOVANE: "PERCHÉ TI
AFFANNI TANTO A RIGETTARE IN MARE LE STELLE MARINE? TEMPO PERSO,
TANTO NON LE POTRAI SALVARE
TUTTE". "TUTTE
NO, MA QUESTA SÌ!"
E, PRENDENDONE ANCORA UNA, LA RIGETTÒ IN MARE.
TITOLO DEL PROGETTO
IL
VILLAGGIO DELLA SPERANZA
UN VILLAGGIO PER GLI ORFANI ABBANDONATI HIV POSITIVI
NAZIONE: TANZANIA - CITTA': DODOMA
RESPONSABILI DEL PROGETTO : SUORE ADORATRICI DEL
SANGUE DI CRISTO
COSTO TOTALE : $ 618.648
1. TITOLO DEL PROGETTO
"Il Villaggio della Speranza", un villaggio per i bambini orfani ed
abbandonati, malati di Aids.
2. ORGANIZZAZIONE RICHIEDENTE
Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, una Congregazione, che
lavora in Tanzania fin dal 1969 ed è un Ente legalmente riconosciuto dal
Governo tanzaniano.
Oltre all'evangelizzazione le Suore Adoratrici del Sangue di Cristo
in Tanzania sono impegnate nella direzione di centri vocazionali, dispensari in
diversi
villaggi, cliniche pre e post natali, asili d'infanzia.
3. RESPONSABILE DEL PROGETTO
Suore Adoratrici del Sangue di Cristo nella persona di
Suor M. Rosaria Gargiulo, ASC, P.O.Box 3266- Dodoma - Tanzania.
Il progetto verrà realizzato nella Regione di Dodoma, in un luogo a 6 km dal
centro della città.
4. DESCRIZIONE GENERALE DELLE CONDIZIONI
SOCIO-ECONOMICHE DELLA ZONA
La Regione di Dodoma amministrativamente è divisa in 5 distretti:
Kondoa
Dodoma extraurbana
Dodoma urbana
Kongwa
Mpwapwa
Questa regione è situata nell'altopiano centrale della Tanzania.
Confina a nord con la regione di Arusha , con quella di Tanga a
Nord est, con Morogoro ad Est, con Iringa a Sud e con Singida ad Ovest.
Copre un area di 41,310 kmq, circa il 5% dell'intera Tanzania.
4.2. Secondo il censimento del 1998 la regione di Dodoma aveva una
popolazione di circa 1,237,819 abitanti con una densità di 30 persone per kmq.
Poiché la popolazione aumenta annualmente del 2.4% si può parlare attualmente
di 1,613,783 abitanti.
Le tribù predominanti nella regione sono: Wagogo, Warangi,
Wasandawi, Wasonife e Waasi.
Clima La maggior parte della regione è pianeggiante e si trova ad
una altitudine di 1100 metri sul livello del mare, tranne alcune zone dei
distretti di Mpwapwa e Kondoa, che sono ad una altitudine di 1800-2000 metri.
Le precipitazioni annuali variano dai 500 a 700 mm.
Vegetazione e suolo La vegetazione è prevalentemente quella della
savana. Nelle zone piu elevate si trovano boschi di alto fusto, in prevalenza
miombo.
Attività economica Il territorio coltivabile è di circa 2,902,390
ettari; di questa area 580,000 ettari, cioè il 20% del terreno arabile, è
usato per coltivazioni. Nonostante la vastità dei terreni coltivabile la
regione di Dodoma è caratterizzata da ricorrenti carestie la cui causa è da
ricercare principalmente nella scarsità delle piogge. Comunque a volte ,come
per il nino del 1998, le piogge eccedono,(creando ulteriori disagi),mentre
regolarmente piove da Dicembre ad Aprile; per i restanti mesi c'è siccità.
Le maggiori colture sono: il sorgo, il miglio, il granturco, le
arachidi, il girasole, la vite e i fagioli.
Oltre all'agricoltura nella zona è molto importante l'allevamento
del bestiame.
Nonostante il grande numero di bestiame in relazione alla
popolazione, la mancanza di proteine e la malnutrizione per i bambini sotto i 5
anni è molto
rilevante.
Servizi sociali Ogni distretto ha scuole secondarie statali e
private.
Alcune tra le scuole statali accolgono alunni provenienti da tutta la Tanzania,
così come anche i collegi per i maestri. Ci sono scuole secondarie situate in
zone rurali.
Per quanto riguarda la sanità in ogni distretto c'è un ospedale, che
dipende da quello della regione. Ci sono poi ospedali privati gestiti
soprattutto da
organizzazioni religiose.
I servizi governativi sono spesso carenti per mancanza di fondi; i
servizi privati hanno prestazioni migliori, ma costi più elevati.
La scarsità di acqua potabile e la dieta povera in generale sono
causa di poca salute. Ci sono molte malattie tra le quali la malaria, il colera,
la meningite, malattie degli occhi, T.B., infezioni intestinali, scabbia ed
AIDS.
5. DESCRIZIONE DETTAGLIATA DEL PROGETTO
Il progetto che vogliamo realizzare vuole essere una piccola
risposta ad uno dei grandi problemi presenti in Tanzania. Il problema dell'AIDS:
Dalle statistiche del 1999 si deduce che nel mondo c'erano 34
milioni di persone infette; di queste 24.5
milioni erano nell'area africana sub-sahariana. Questo
significa che nei seguenti 10 anni molti di questi paesi perderanno un quarto
della loro popolazione, la maggior parte della quale sarà l'età di mezzo che
è la più produttiva.
In Tanzania secondo il "Surveillance Report n° 13" del
Ministero della Sanità gli individui HIV infetti erano 1,630,000 nel duemila ,
mentre gli orfani HIV positivi
erano 1,200,000.
Ciò significa che nei prossimi 10 anni molti paesi dell'area
sub-sahariana perderanno un quarto
della loro popolazione e in particolare quelli dell'età di
mezzo.
Così coloro che rimarranno saranno per la maggior parte bambini e
persone anziane.
L'altro grandissimo problema che coinvolge i bambini infetti è che
normalmente sono orfani o abbandonati. Orfani perché i loro stessi genitori
sono morti per la
stessa malattia o abbandonati per le paure che circondano tale malattia.
Il problema della denutrizione aggrava la situazione facendo elevare le
statistiche delle morti premature di questi bambini, che sono accelerate proprio
da essa.
Il nostro progetto chiamato "VILLAGGIO DELLA SPERANZA"
si propone di dare un rimedio a questa situazione; nella prima parte del
progetto accoglieremo 96 di questi bambini. Essi vivranno in piccole
case(6),ognuna con due appartamenti, in stile familiare. In ogni appartamento
vivranno otto bambini di differenti età, che verranno presi in cura da una madre adottiva e
possibilmente anche da un padre.
Cercheremo di dare a questi bambini il meglio che potremo a livello
nutrizionale, medico, psicologico e spirituale così che possano vivere con
serenità i giorni della loro vita. Cercheremo di dare loro amore, e tutto
quello che sarà necessario per un loro sviluppo integrale e rimarranno con noi
per tutto il tempo della loro vita. Per chi dovesse arrivare all'età scolare si
provvederà all'istruzione elementare e secondaria.
Per questa ragione si prevede già fin dall'inizio la costruzione
di un asilo; in seguito, se la necessità lo richiederà, si provvederà anche
alla costruzione di una scuola elementare e di una scuola superiore professionale.
Quelli che diventeranno negativi verranno adottati o sistemati in
altre case famiglia.
Il progetto si propone anche di essere un aiuto per la ricerca
della malattia nei bambini; per questa ragione si prevede anche la costruzione
di un laboratorio analisi per i testi di routine e per quelli più avanzati.
Un blocco amministrativo verrà anche costruito per coordinare
tutte le attività che riguardano questo villaggio.
Per i lavoratori che dovranno seguire i turni di notte si
costruiranno alcune stanze e in modo particolare si prevede la costruzione di un
centro di accoglienza per i volontari espatriati o locali che volessero venire
per seguire l'opera o per ragioni di ricerca. Infine ci saranno una cucina e una lavanderia centralizzata per rendere più
igienici e meno costosi i relativi servizi, una piccola farm e naturalmente una
casa per le Suore.
"Il Villaggio della Speranza" sarà diretto e gestito
dalle Suore Adoratrici del Sangue Di Cristo che possono assicurare questo
servizio anche in futuro
attraverso le Suore Tanzaniane della stessa Congregazione. L'Opera verrà
costruita in un terreno di loro proprietà.
6. BENEFICIARI DEL PROGETTO
Beneficiari di questo progetto saranno all'inizio 96 bambini HIV
positivi orfani o abbandonati di diversa età. Verranno accettati soprattutto i
bambini provenienti dalle Regioni di Dodoma, Singida e Morogoro, ma anche da
altre parti della Tanzania quando ci saranno posti disponibili
7. COSTO DEL PROGETTO
Il costo totale del progetto sarà di $ 618,648 così distribuito:
$ 542,148 per le costruzione di tutti gli edifici
$ 18,500 Per lo scavo di un pozzo, la pompa e l'installazione dei Tanks
$ 45,000 per la recinzione
$ 13,000 per un generatore diesel
La prima parte del progetto consisterà nella costruzione
dell'asilo e di due case per i bambini, lo scavo del pozzo e l'installazione dei
tanks , l'acquisto del generatore e la recinzione per un totale di $ 201,300 così
suddivisi:
$ 64,800 per l'asilo
$ 60,000 per due case dei bambini
$ 18,500 per lo scavo di un pozzo, la pompa e l'installazione dei Tanks
$ 45,000 per la recinzione
$ 13,000 per un generatore diesel
Ogni contributo, anche piccolo, sarà di grande aiuto per la
realizzazione di quest'opera e sarà usato nel modo migliore a vantaggio dei
bambini HIV positivi
orfani e abbandonati.



“Un campo per la
carità”
a Undancode - Kerala - India
Premessa
Io mi chiamo don Jayaraj J.R. (Jarald Rugminibai). Sono nato 33 anni fa a
Undancode, un paesino che si trova nel Kerala, regione che occupa la parte
più meridionale della penisola indiana.
Sono sacerdote dal 31 luglio 1999, appartengo alla Diocesi di Neyyattinkara.
La mia vocazione è nata quando ho scoperto, proprio alla vigilia della mia
laurea in ingegneria informatica, la povertà della gente del mio paese. Fino
a 23 anni, infatti, io ignoravo la sofferenza dei poveri perché appartengo
ad una famiglia benestante, ma la visione dell’estrema miseria dei miei
fratelli, di gran parte della mia gente, mi ha talmente colpito che, dopo
una lunga sofferenza a livello familiare, ho scelto la mia strada: diventare
sacerdote e utilizzare tutti i miei ‘talenti’ a favore dei più infelici.
Vi racconto l’esperienza che ha cambiato la mia vita:
Il giorno prima del mio esame finale, mio padre mi chiese di andare al
villaggio per prendere una medicina naturale per la nostra mucca malata.
Quando ero ragazzo il mio hobby era allevare pulcini. Quando erano diventati
adulti, io li ho venduti e ho comprato quattro tacchini. Quando i tacchini
sono diventati adulti, io li ho venduti e, con l’aiuto di mio padre, ho
comprato una vitella. Quella vitella, completamente cresciuta, era diventata
una mucca e stava per avere un vitellino. Adesso quella mucca non la
consideravo più soltanto mia, ma di tutta la famiglia. Mi arrabbiai molto
con me stesso, perché pensavo che non era diritto di mio padre chiedermi di
andare al villaggio quando avevo così tanto da studiare. Dopotutto c’era un
importante esame però io non avevo il coraggio di affrontare mio padre e
dirgli che non potevo andare, così mi avviai a prendere la medicina, ma
l’uomo che doveva darmela mi disse che era troppo tardi e che avrei fatto
meglio a cercare un veterinario. Tornai indietro senza la medicina. Mi
avviai verso casa prendendo un sentiero vicino ad una risaia.
Improvvisamente si mise a piovere, avevo paura di bagnarmi, perché temevo di
influenzarmi. Corsi verso la casa costruita sulla collina vicina che aveva
il tetto fatto con foglie di cocco. Sfortunatamente il tetto di questa casa
era stato fatto due anni prima e perciò l’acqua entrava dentro. Questo tipo
di tetto deve essere rifatto ogni anno. Entrando vidi una nonna che teneva
una bimba in braccio e copriva la sua testolina con una mano per proteggerla
dalla pioggia. Io rimasi colpito da quella scena domestica e desiderai
ardentemente aiutare quella famiglia ad avere un nuovo tetto. Terminata la
pioggia e tornato a casa non potevo scacciare dalla mia mente quell’immagine
e ciò mi impediva persino di prepararmi per l’esame finale.
Avevo paura anche se avevo studiato meglio che potevo, ma non ero più sicuro
di poter affrontare quell’esame. Quella notte non sono riuscito a dormire
perché pensavo continuamente a quella povera famiglia. Dopo l’esame,
superato brillantemente, tornando a casa con il pullman è iniziato a piovere
e subito mi è tornata in mente la scena della nonna con la sua nipotina.
Pensavo sempre come poter aiutare quella povera famiglia, ma non avevo molti
soldi da dar loro per il tetto della casa. Da quel giorno ho dedicato tutte
le mie energie per alleviare le sofferenze dei più indigenti.
Queste sono state le mie prime esperienze in India:
Io e una suora, che mi aiutava, visitammo tutte le famiglie e scoprimmo che
c’erano quindici case peggiori di quella che io avevo visto. Abbiano
raccolto le foglie di cocco per sedici case, io le ho trasportate, come fa
un bue, trainando un carretto per la strada. Quando i miei genitori videro
che facevo questo lavoro mi chiesero di fermarmi, perché i nostri parenti
avevano detto come mai un ingegnere potesse fare quel tipo di lavoro: era
una disonore per la famiglia! Un giorno ero veramente molto stanco perché
avevo trasportato tutta la giornata foglie di cocco e i miei decisero di
chiudermi nella mia stanza per impedirmi di uscire di nuovo in aiuto dei
poveri. Durante la notte io non sono riuscito a dormire dentro la mia stanza
e mi sono addormentato sul divano dell’ingresso. Quando mio padre mi vide,
mi disse di tornare nella mia stanza. Dopo due settimane finì la
distribuzione delle foglie di cocco alle sedici famiglie. Mia madre mi parlò
dicendomi che lei e mio padre avrebbero voluto chiudermi nella mia stanza
tutti giorni e le notti da quel giorno in poi, in modo tale che io non
potessi aiutare i poveri, ma dato che quel giorno io non entrai nella mia
stanza, loro non hanno potuto chiudermi dentro.
Da allora, tante sono le idee che, in questi sette anni trascorsi in Italia
per gli studi, mi sono venute in mente per continuare a fare qualcosa.
Alcune potrebbero essere solo un ‘sogno’. Ma anche se il sogno non può per
il momento realizzarsi, se ne può alimentare la speranza con piccoli
progetti.



“I giovani sono l’ultima generazione in grado di poter decidere il futuro
che stiamo per vivere. Sono loro che devono scegliere tra il bene e il male,
fra la guerra e la pace. I giovani sono la forza che può veramente cambiare
il mondo ed il suo futuro”.
Lettera agli amici
Korogocho, 1.1.2002
Carissimi,
Jambo!
Chiedo perdono per non essere riuscito a trovare il tempo per stendere
quest’ultima Lettera agli amici, lettera che ha alimentato questa
incredibile ragnatela di amicizie, di relazioni, di Mistero che mi ha
permesso di continuare a camminare sulle strade dei poveri per questi dodici
anni.
Ma la vita a Korogocho è stata talmente intensa da non trovare il tempo per
scriverla. Perdonatemi. E’ stato l’anno forse più duro a Korogocho, a parte
il 1998. Spesso mi sono ritrovato nelle parole del salmo 62 “..come muro,
muro sbrecciato e cadente.”
Ora rafforzato nello spirito dalle gioiose celebrazioni natalizie (che
boccata d’ossigeno!) e dall’arrivo di padre Daniele Moschetti (vero dono di
Natale)…..tento di condividere con voi un anno carico di sofferenza, ma
proprio per questo così denso di vita, di birthing (un intraducibile parola
inglese che significa nascita-re). Un senso di birthing percepito con forza
proprio nella morte della mamma. “Rendiamo grazie a…” erano state le ultime
parole della mamma come risposta all’ “Andiamo in pace”, a conclusione
dell’ultima messa celebrata a fianco del suo letto all’ospedale di Cles. Mi
nasceva spontaneo il grazie per la vita che mi aveva donato, per il suo
insegnamento a fare della vita un dono agli altri fin dal suo seno. “Fin
dall’utero a Te sono votato – nelle parole del salmo 22 - dall’origine sei
il mio Dio, mia vita succhiata col latte.”
Infatti nel giorno del suo matrimonio aveva chiesto al Signore che il primo
figlio maschio fosse consacrato a Lui. Piangeva di gioia il giorno della
prima messa (fu il giorno più bello della sua vita). E mi seguì con amore
grande sulle strade del mondo anche nei momenti più duri e burrascosi.
Insieme con papà (splendida figura di montanaro e di resistente) rimase un
punto fermo della mia vita.
Quella settimana passata con lei all’ospedale di Cles è stato un momento
importante per me per fare memoria ed il regalo più bello che potevo farle.
“Ses contenta che son nu?” le chiesi « Sive, pop ! », mi rispose con un
sorriso che non dimenticherò mai. Fu la sua morte però, il 7 marzo 2001 il
suo vero testamento. “In genere si ama per essere amati, mentre la morte lei
ci insegna, ad amare l’altro lasciandolo essere “altro”, lasciandolo essere
nella sua alterità- afferma Marie de Hennezel nel suo libro “Passaggio
luminoso” che ho riletto mentre assistevo la mamma - Bisogna saper perdere
ciò a cui teniamo di più perché è in tale libertà che si ama davvero. Questa
vita che amiamo appassionatamente (la nostra vita!) proprio mentre stiamo
per lasciarla la amiamo di più. Comprendiamo allora che questa esistenza è
un “altro”, che “io e’ un altro” e che questo essere che amiamo, lo amiamo
meglio il giorno in cui siamo capaci di permettergli di andare là dove deve
andare…. Spesso i morenti attendono il nostro permesso. Dovremmo riuscire a
dire: ‘ Và, verso te stesso, io sono con te…..’. ”
Pochi lo hanno capito così bene come la zia Alda (la sorella della mamma
quando il giorno del suo AD-DIO ci rimproverava: “No planget popi! Laiala
nar, cha femma!” (Non piangete, lasciatela andare quella donna).
La mamma è stata la persona più decentrata che abbia mai conosciuto. La sua
vita erano gli altri. Fino alla fine.
“Quando celebrai la prima messa in questo paesino di Livo fu la mamma la
prima persona a venire a baciarmi le mani – dissi durante l’omelia per la
sua reposizione. Oggi sono io che vengo a baciare le tue mani, mamma, perché
se sono prete lo devo a te e perché lo sei stata più di me.” Mi avvicinai e
baciai commosso quella bara su cui avevo deposto un crocifisso mutilato di
Korogocho e un rosario Pokot preparato dalle ragazze madri dell’Udada. Mi è
venuto allora spontaneo invitare i presenti a cantare il Magnificat. Sentivo
il bisogno di dire Grazie perché la sentivo viva. Ho voluto esprimere questo
senso di vita dando a ciascuno il primo fiore che nelle nostre valli irrompe
dalla neve e proclama la primavera: i gattici.
“Sei tu Signore che mi hai intessuto nel ventre della madre, facendo del suo
grembo una tenda” (Salmo 139).
Con questi rametti di gattici, sospinti dalle campane che suonavano a festa,
abbiamo accompagnato la mamma a riposare accanto a papà Sandro in quel
cimitero di Livo che raccoglie tante umili persone per me così
significative.
Mentre deponevamo il corpo della mamma nella nuda terra, mi è venuto
spontaneo chiedere ai tanti amici presenti di cantare un canto della
montagna che lei gradiva molto.
“Che dolcezza nella voze de me mama,
quando insieme s’arrivava al Capitel:
la polsava en momentin, la pregava pian pianin.
E alla fin la me diseva: Vei che nem!
Ve saludo Madonina, steme ben!”
Mi venne poi spontaneo inginocchiarmi sulla tomba e chiedere la loro
benedizione. (Non dimenticherò mai l’ultima straziante benedizione, quando
papà e mamma mi imposero le mani e mi benedirono prima di ritornare nel 1991
a Korogocho). Su quella tomba sentii nuovamente quelle due mani benedicenti
che mi davano tanta vita, tanta forza per ridiscendere agli inferi.
Al mio ritorno, la comunità cristiana di St. John organizzò una stupenda
eucaristia in memoria della mamma, la cui fotografia vedo spesso appiccicata
sui muri delle baracche. La piccola comunità cristiana più povera, quella
dell’Ujamaa (lebbrosi che vanno in città ad elemosinare) fece una colletta
che mi presento’ dicendo: “Antonietta è la nostra mamma.” Mai avevo sentito
la sua presenza come durante questo difficile anno.
L’anno della lotta della terra di Korogocho. Lo scontro durissimo tra la
comunità di Korogocho rappresentata dal comitato dei 28 (quattro per ognuno
dei 7 quartieri della baraccopoli) e i proprietari delle baracche. Storia
che ho narrato nella lettera “La lotta per la terra” dello scorso anno. Gli
insulti, le parole, le minacce che ho ricevuto per questo sono infinite. I
proprietari delle baracche riuniti in associazione (COWA) hanno portato la
comunità di Korogocho insieme con il prefetto della città e il commissario
del governo per la terra in tribunale.
La prima udienza fissata per il 4 ottobre fu rinviata. Siamo ancora in
trattative per fissare una nuova data. Sarà una storia lunga e difficile.
Penso che la comunità, difesa in tribunale dagli avvocati del Kituo cha
Sheria, dovrebbe farcela ad ottenere la terra. Sarebbe davvero una bella
notizia non solo per Korogocho, ma per tutti i baraccati di Nairobi.
Nel frattempo il Pamoja Trust con i suoi organizzatori comunitari ha
continuato ad organizzare la gente tramite gruppi di risparmio e credito (Savings
& Credit) che sono ora la punta di diamante del Muungano ya Wanavijiji
(coordinamento delle baraccopoli). Il Pamoja ha inviato anche vari membri
del comitato popolare di Korogocho a visitare Bombay (India) per vedere come
i baraccati di quella metropoli si sono organizzati (un’esperienza pilota).
L’8 dicembre abbiamo fatto un incontro di tutti i gruppi del Muungano. E’
stato un momento molto bello: i rappresentanti dei baraccati hanno celebrato
le loro vittorie. Oltre un migliaio di delegati, riuniti all’Ufungamano
House hanno raccontato e danzato le loro imprese. Quest’incontro fu un primo
assaggio per preparare gli importanti eventi di quest’anno: la Maratona di
Nairobi (14 Aprile) promossa da Vivicittà che vedrà coinvolti insieme ai
giovani delle baraccopoli, famosi atleti Keniani come Paul Tergat e
l’incontro continentale dei baraccati d’Africa. Quest’ultimo si dovrebbe
tenere il 29 Aprile al 3 Maggio a Nairobi. E’ il primo del suo genere in
Africa. E’ promosso dall’SDI (Slum dwellers International) che ha incaricato
il Pamoja Trust di organizzarlo. Sarà una vera benedizione anche per il
coordinamento delle baraccopoli di Nairobi che dovra’ per l’occasione
esprimere una leadership democraticamente eletta.
Il Land Caucus (un piccolo gruppo di persone impegnate sul problema della
terra) ha dovuto darsi da fare per animare tutto questo. Un periodo che ha
visto l’esplosione violenta della più grande baraccopoli Kibera (700.000
abitanti). Si parla oggi di 30 morti e di danni ingenti. Il tutto è
scoppiato quando il presidente Moi (per scopi elettorali) ha detto che gli
affitti a Kibera erano troppo alti. Questo vento di protesta è passato anche
ad altre baraccopoli e sta ora surriscaldando Ngunyumu, un villaggio in
muratura adiacente a Korogocho. Temiamo un altro bagno di sangue che
potrebbe poi coinvolgere anche Korogocho.
Altro punto caldo è stata la discarica del Mukuru situata davanti alla
chiesetta di St. John. Migliaia di uomini, donne e bambini si guadagnano la
vita raccogliendovi i rifiuti. Un gruppo di giovani (Mungiki) che vivono nel
quartiere adiacente di Dandora hanno deciso di sbarazzarsi di un'altra banda
rivale della discarica (Kamjeshi) che minacciava il loro controllo sui
trasporti pubblici (tangenti). I giovani del Mungiki hanno sconfitto quelli
del Kamjeshi uccidendo oltre venti persone. Hanno poi bloccato l’accesso
alla discarica sia ai camion della nettezza urbana sia ai raccoglitori. E’
stata la fame per tanta gente. Con l’aiuto di Anthony, un coordinatore
comunitario di Upinde, abbiamo cercato di organizzare la gente della
discarica. E’ stato durissimo. Ma alla fine i raccoglitori di rifiuti hanno
vinto. La polizia ha sgomberato dalla discarica i giovani del Mungiki e l’ha
riaperta ai camion della nettezza urbana. Questo ha permesso alla gente di
ritornare a lavorare. E’ stata una grande vittoria. La gente della discarica
ha promesso di organizzarsi in società legale che dovrà poi essere
riconosciuta dal governo e di fare elezioni.
Nonostante tutte le difficoltà, lotte, scontri, stiamo vivendo un momento di
grazia per il problema terra a Nairobi. Per la prima volta il governo Moi ha
iniziato ad affrontare seriamente il problema delle baraccopoli (è la prima
volta dopo 100 anni di apartheid economica). Sono molte le ragioni di questa
svolta. Il governo ha capito che le baraccopoli costituiscono una disgrazia
internazionale ma possono essere anche un grosso serbatoio di voti
soprattutto in questo anno elettorale. (Ricordiamoci che Nairobi
politicamente è in mano all’opposizione). Altra grossa spinta è venuta da
Habitat di Nairobi soprattutto tramite la sua dinamica direttrice Anne
Tibaijiku. Le Nazioni Unite hanno fatto sapere a Moi che non potevano
continuare a lanciare campagne nel mondo sugli insediamenti urbani e sulla
proprietà della terra nelle baraccopoli mentre a Nairobi c’è una delle
peggiori realtà urbane mondiali. Infine lo sforzo della campagna per la
terra sostenuta dal Pamoja Trust ha certamente influito su questa svolta
governativa. In questo contesto l’incontro avvenuto il 16 gennaio di
quest’anno tra Jane Weru (Pamoja Trust) e la Anne Tibaijiku è stato
significativo. Questo permetterà un fronte comune: Habitat e baraccati per
premere sul governo. Oggi sembra davvero che molti esponenti del governo
siano pronti a fare qualcosa a favore dei baraccati.
E’ quanto emerso in un incontro a Thika prima di Natale. Forse il governo
non sa cosa fare, data la vastità del problema. Ma è già importante questa
apertura. Si tratta ora di lavorare per concretizzare questa speranza.
Anche dentro Korogocho qualcosa si sta finalmente movendo. Il comitato per
la terra che riunisce gli affittuari si sta rafforzando. E’ la prima volta
che questo avviene a Nairobi. Sono piccoli segni di speranza che hanno
costellato questo anno difficile.
Altro segno bello dentro Korogocho è stata la riconciliazione di due piccole
comunità cristiane (Mukuru A e Mukuru B) che lavorano da anni sui rifiuti ma
che si facevano la guerra per la terra data loro dal governo. “Questo nostro
atteggiamento – ci disse la gente del Mukuru A - è antievangelico. Il
Vangelo ci chiede di perdonarci. Non possiamo mangiare la Pasqua senza
riconciliarci.” Durante un pubblico incontro si domandarono perdono,
divisero la terra con atto notarile mettendo così fine alla disputa.
Suggello finale: benedizione della terra e delle due comunità con il sangue
di capra per esprimere che i due gruppi sono ora una sola famiglia. Ed ha
funzionato.
Significativo anche l’accordo pubblico (firmato davanti a tutti) tra i capi
musulmani e cristiani di Korogocho per dire la volontà di collaborare a
favore della comunità allargata. C’è oggi un ottimo rapporto con l’imam e la
comunità islamica nonostante Bin Laden! Questo dovrebbe portare lentamente
(ci stiamo lavorando) ad un tentativo di community policing (polizia
comunitaria): cioè ad una stretta collaborazione tra la polizia dello stato
(corrotta fino all’osso) e la comunità di Korogocho per assicurare un minimo
di sicurezza. Abbiamo passato mesi di totale insicurezza (che continua!) per
i continui attacchi di bande armate che controllano Korogocho (uccidono,
violentano, rubano..).
Questa situazione di grande insicurezza dovuta a questi banditi armati ha
portato lo scorso giugno a sanguinosi scontri tra la gente di Ngunyumu che
vive in case in muratura e la gente di Korogocho. Anche qui siamo
intervenuti per aiutare i gruppi avversari a parlarsi. Durante questi
incontri è emersa la corruzione totale che regna a Korogocho (è mafia
autentica) dove i banditi armati sono un tutt’uno con i poliziotti i quali a
loro volta sono in stretto legame con le donne che vendono il chang’aa
(alcol locale). Ma visto l’inutilità dei vari tentativi, abbiamo deciso di
fare una marcia di protesta contro la polizia. Colmo dei colmi, la polizia
sequestrò la macchina su cui avevamo piazzato l’altoparlante. La gente
infuriata decise di marciare fino alla caserma di polizia. A pochi metri
dalla caserma fummo attaccati dalla celere con lacrimogeni, manganellate.
Tentammo di sfondare. Fui preso e schiaffeggiato da un poliziotto. Forzai
allora la linea della celere ed entrai nella caserma dove mi attendevano i
pezzi grossi della polizia. “Chi sei tu?” mi chiese il comandante. “Sono
padre Alex e vengo dalla chiesa cattolica di St.John”. “Fuori di qui! ”.
“Arrestatemi, arrestateci tutti! Siamo stufi di essere trattati così a
Korogocho.” Alla fine i capi accettarono di trattare e la spuntammo.
Ritornammo in trionfo a Korogocho con la macchina sequestrata e l’autista
arrestato. Fu una grande lezione per tutti sull’efficacia della
mobilitazione popolare.
Abbiamo intuito le stesse potenzialità mobilitando i ragazzi di strada.
Questa volta aiutati da due amici americani, l’artista Lily Yeh e dal
direttore di danza Wilson German. E’ stato un momento bellissimo per i
ragazzi di strada che frequentano i due centri : Boma Rescue Center e
Korogocho Street Children Programme. Mentre la Lily aiutava i ragazzi di
strada a disegnare, German li ha aiutati a fare teatro popolare. Lo
spettacolo che hanno offerto al Paa ya Paa (un centro artistico retto dal
noto Elimu Njao) è stato davvero travolgente. “Fiori dimenticati” era il
titolo significativo dello spettacolo. “Ho un sogno” - cantavano i ragazzi
di strada - con una grinta straordinaria. La gente mi rispetterà. Uno di noi
sarà un giorno Presidente!”
Non dimenticherò mai la cena fatta con Lily e Wilson nella casa dei
volontari Acri, Monica e Claudina che fanno uno splendido lavoro. (Monica
segue i programmi dei ragazzi di strada e Claudina le cooperative del Bega
Kwa Bega e del Mukuru). Wilson (minato dal cancro) scoppio’ in pianto. “Ho
visto oggi una cosa bellissima: questi ragazzi di strada presentarsi con
tanta forza e dignita’ da lasciarmi interdetto. Io sono povero, un povero
nero d’America. Ma farò di tutto per racimolare un po’ di soldi per
ritornare e dare speranza a questi ragazzi. Sono troppo bravi!”. E
singhiozzava ripensando alle sue lotte per i diritti umani degli
africano-americani accanto a Martin Luther King. Abbiamo già chiesto ad
Amref (una grande organizzazione internazionale) di darci una mano per far
partire un movimento politico che riunisca i vari centri di Nairobi (sono
una valanga) che lavorano per i ragazzi di strada ma che fanno purtroppo
solo assistenza. Abbiamo bisogno di azione politica.
Mai come quest’anno ho sentito e ho vissuto l’esperienza di Dio dentro le
lotte dei poveri. Essi sono un vero luogo teologico. Mai mi sono sentito
così vivo nonostante tutta la morte e le sconfitte, i crolli che mi
attorniano. Ho sentito pulsare vita. Ho sentito i poveri danzare la vita. La
gioia grande dei lavoratori della Del Monte quando lo scorso marzo si sono
incontrati a Thika per celebrare la loro vittoria sulla multinazionale. E’
stato un momento forte. L’impegno del sindacalista Daniel Kiule e di Stephen
Ouma che ora lavora con il Kenya Human Rights Commission. (Stephen ci dà una
mano incredibile anche con la scuola informale di St.John che sta filando
via come un orologio. Nella gestione della scuola la comunità di St.John ha
fatto passi da gigante!). La vittoria sulla Del Monte ha aperto le porte per
la campagna contro l’ industria dei fiori. Dopo un anno di indagini è ora
pronto il documento finale che mette a nudo la drammatica realtà di 120.000
operai (in buona parte donne)che lavorano in questo settore.
La campagna nazionale si aprirà il 10 febbraio con una conferenza stampa che
rivelerà il vero volto dell’industria dei fiori, la più fiorente in Kenya. E
inviterà i Keniani ad un boicottaggio simbolico per il 14 febbraio (No ai
fiori per San Valentino). La settimana verrà chiusa da una celebrazione a
Naivasha il 17 febbraio in memoria delle vittime di questo settore.
All’industria dei fiori verrà dato un chiaro ammonimento: tre mesi per
trattare altrimenti a maggio si andrà ad un boicottaggio internazionale.
Vari organismi si sono dati un appuntamento a Nairobi il prossimo maggio per
lanciare un boicottaggio dei fiori Keniani in Europa (i fiori arrivano ad
Amsterdam e da lì sono distribuiti in varie nazioni europee).
Un lungo cammino, il cammino dei poveri, degli oppressi… Ma su queste strade
ho sperimentato sempre più vivo il Dio di Mosè, il Papi di Gesù, il Dio che
cammina con il Suo Popolo, il Dio che libera. Ho vissuto la spiritualità
dell’Esodo. Un cammino illuminato dalla lettura continuata dell’Apocalisse
che ci ha accompagnato in questo anno difficile. Che forza rivoluzionaria la
lettura della Parola fatta nei bassifondi della storia. Per me dodici anni
di Parola a Korogocho mi hanno causato una rivoluzione copernicana. E’ un
dono grande che ho ricevuto. Parola che diventa volto: il volto di Gesù, il
volto dei poveri. I volti della gente della discarica, i volti dei ragazzi
di strada, i volti di donne, i volti di lebbrosi, volti di malati di Aids. I
momenti serali stupendi di eucaristia celebrata a lume di lampada nelle
baracche con la piccola comunità cristiana.
I volti…..un volto! Quello di Grazia, una ragazza madre che è venuta a
vedermi la vigilia di Natale. L’avevo conosciuta nel lontano Natale del 94.
In quella lontana notte in un locale notturno era stata presa da quattro
giovani che l’avevano violentata per tutta la notte. Non riusciva più
neanche a camminare. “E’ apparsa la Grazia del Signore nostro Gesù
Cristo….”. E’ quella la Parola che risuona nella notte natalizia. Guardando
in volto Grazia mi sembrava una bestemmia. Avevo aiutato Grazia, ragazza
madre con due figli, ad uscire dalla prostituzione, dall’alcol e dalla
droga. Riuscì lentamente a rimettersi in piedi, ad uscire dal giro e a
gestire un piccolo business, raccolta e rivendita di bottiglie usate. Era
una gioia il vederla!
Alla vigilia di questo natale 2001 (sette anni dopo) era venuta a vedermi,
in lacrime. “Cosa c’è Grazia?” le chiesi. “Non saprei come ringraziarti per
quello che hai fatto per me. Non avrò vite abbastanza per farlo. Ma in
questi giorni sono stata male, ho fatto l’esame e il dottore mi ha detto che
ho l’AIDS. Alex ieri ho tentato di bere e di far bere ai miei figli il
veleno dei topi. Non me ne importa della mia vita ma mi tormenta il pensiero
di lasciare soli questi miei due figli. Non hanno nessuno.” “Grazia” replico
“il Signore ti ha dato una grossa mano per rinascere! ” “Sì è vero” mi
risponde. “Vuoi che non ti aiuti in questo momento? Fidati ”. Si asciugò le
lacrime. La vidi il giorno di Natale fare la comunione. Con volto provato ma
sereno.
Sono questi i volti del mio Natale La vigilia anche noi, come tutte le
piccole comunità cristiane ci siamo ritrovati a casa nostra a bere il tè
della riconciliazione e a condividere quello che sentiamo in questo Natale.
Il fratello Gino, le due volontarie, Claudina e Monica, padre Daniele
(grande dono di Natale, segno tangibile che i comboniani hanno assunto
Korogocho), e l’ugandese padre Alex Matua e altri amici. Un momento di
intimità domestica. All’imbrunire siamo andati alla chiesetta di St. John
per la celebrazione dell’eucaristia natalizia. La comunità aveva proprio
voglia di celebrare, di cantare, di danzare. Era festa. Dopo il Vangelo come
i pastori siamo andati in processione alla capanna dove abbiamo ascoltato
l’annunciato “Mtoto amezaliwa Mukuru” (Un bimbo è nato nella discarica).
Ritornammo poi nella chiesetta per spezzare il pane. Poi le comunità
ritornarono poi alle loro baracche. Noi invece con le comunità della
discarica e i ragazzi di strada siamo andati al progetto della discarica. E
con i raccoglitori di rifiuti, con i ragazzi di strada (non sono questi i
pastori di una volta?) abbiamo vegliato, pregato, danzato fino all’alba.
Un’alba stupenda carica di rosso, carica di speranza. Poi abbiamo celebrato
due eucaristie gioiose, festose. Nella seconda abbiamo celebrato il
battesimo di una dozzina di bimbi. Festa della vita! Siamo ritornati a
mangiare un boccone con la gente della discarica. Vero pranzo di Natale con
i più disprezzati. E poi per i viottoli della baraccopoli siamo andati a
portare l’eucaristia ai malati di Aids.
Il giorno dopo una stupenda celebrazione eucaristica con la piccola comunità
dell’Ujamaa, la comunità dei lebbrosi. Era proprio Natale. Soprattutto
quando abbiamo condiviso il cibo con loro. Ci voleva proprio dopo un anno
così duro, così intenso. Una boccata d’ossigeno, un sorso di vita.
Soprattutto dopo gli eventi dell’11 settembre e la conseguente guerra degli
USA contro l’Afghanistan. Me li son portati nello stomaco come dei macigni
che mi hanno fatto un male boia. E’ la rivelazione (Apocalisse) dell’assurdita’
del sistema.
“Dio ci sfida a ripensare la nostra maniera di vivere e di agire. – afferma
il teologo sudafricano Albert Nolan – “non siamo noi forse colpevoli di
servire due maestri, Dio e il denaro, Dio e il materialismo?.”
Questa crisi e’ un momento unico per dire la nostra fede, il nostro status
confessionis. Per questo mi ha fatto ancora piu’ male il silenzio della
Chiesa e delle Chiese (anche se ci sono delle eccezioni).
Korogocho e’ un luogo privilegiato per sperimentare questo. “La Chiesa
adempie la sua vocazione quando e’ presente di fronte alle rotture che
crocefiggono l’umanita’ nella sua carne e nella sua unita’ ” - cosi’ afferma
il vescovo Claverie assassinato nel 1996 in Algeria. “Gesu’ e’ morto
dilaniato tra cielo e terra, le braccia protese a riunire i figli di Dio
dispersi dal peccato che li separa, li isola e li volge gli uni contro gli
altri e contro Dio stesso. Egli si e’ posto sulle linee di frattura nate da
questo peccato. In Algeria siamo proprio al nostro posto giacche’ e’ in
questo luogo che si puo’ intravedere la luce della Risurrezione.” Anche noi
a Korogocho siamo al posto giusto!
Nella notte fonda di natale ho rivisto brillare la croce del Sud che mi ha
sempre accompagnato in questi duri ma bellissimi anni a Korogocho......
quattro punti luminosi.... aspettando ora di camminare con voi sotto la
stella polare, la stella del Nord. Il cammino e’ uno.....buon cammino.
Sijambo!
Alex


Padre LUIGI MAFFEI è nato a Montemaderno (Bs) il 10 di maggio del 1942 da mamma
Clara Apollonio e papà Domenico Maffei.
Ha frequentato le prime quattro classi delle elementari a Montemaderno; la
quinta nelle Scuole Elementari di Toscolano-Maderno. Fin da bambino sentiva il
desiderio di diventare sacerdote, così ad undici anni è stato accolto nel
seminario minore della Congregazione “Sacra Famiglia di Nazareth”, in
Maderno dove ha portato a termine la scuola Media e il Ginnasio. Dopo un anno di
Noviziato, trascorso a Palidano (MN), nel 1960 a diciotto anni, ha esercitato la
sua Professione Religiosa nella stessa Congregazione, fondata dal Beato Giovanni
Battista Piamarta. Dal 1960 al 1963 ha frequentato il Liceo Classico, a Maderno
(il primo anno) e a Roma (il secondo e terzo anno). Dal 1963 al 1965 ha
interrotto gli studi per dedicarsi ad un lavoro di assistenza agli studenti
dell’Istituto Bonsignori di Remedello Sopra.
Dal 1965 al 1970 ha completato i suoi studi Filosofici e Teologici nella
Pontificia Università Lateranense di Roma. E nel frattempo, il 20 settembre del
1969, è stato ordinato Sacerdote, per l’imposizione delle mani di Mons. Luigi
Morstabilini, arcivescovo di Brescia, a Montemaderno, suo paese natale.
Terminati gli studi teologici nel ’70 ha svolto il ministero
sacerdotale, per un anno, nella parrocchia “Santa Maria della Vittoria” in
Brescia, come Curato. Dal 1971 al 1978, per incarico dei superiori, ha svolto il
suo lavoro presso la Scuola Apostolica Sacro Cuore di Maderno (BS), come
responsabile dei seminaristi. Nel 1978, su invito dei superiori, ha accettato di partire per le Missioni. E così, il 1°
maggio del 1978 è andato in
Brasile dove per vent’anni ha esercitato il
lavoro di missionario in luoghi e attività differenti (parrocchie,
seminari, scuole, e istituti per bambini e adolescenti bisognosi). Nel 1998 fu
invitato a partecipare alla fondazione della seconda missione piamartina in
Angola (Africa) nella capitale Luanda, dove è rimasto fino al 2001.
Qui ha collaborato con il nostro Gruppo Missionario Muratello.
Dal maggio del 2001, sempre per richiesta dei superiori, è ritornato in
Brasile, nella città di Ponta Grossa dove è incaricato della Formazione dei
Novizi e dei giovani Religiosi.
Il suo indirizzo è:
PADRE
LUIGI MAFFEI
INSTITUTO JOÃO XXIII - RUA PE. JOÃO PIAMARTA S/N
-
CX. POSTAL 162 - CEP 84001-970 - PONTA GROSSA - PARANÁ -
BRASILE
Tel.: (42) 2291353; Fax: (42) 2291100
E-mail:
instjoao23@convoy.com.br
PER EVENTUALI RICHIESTE DI PREGHIERE O DI CELEBRAZIONE DI SANTE MESSE, O DI
INVIO DI AIUTI IN BENEFICIO PER LE SUE MISSIONI, ENTRARE IN CONTATTO DIRETTO VIA
E-MAIL, O ATTRAVERSO LO SCAIP DI BRESCIA, VIA E. FERRI, 91.


L’amico Padre Eugenio Petrogalli è missionario in Ghana (Africa); voglio
pubblicare la Sua lettera che mi ha
inviato prima della S. Pasqua:
Chi volesse comunicare con lui, può farlo scrivendo a: Padre
Eugenio Petrogalli, Catholic Church - P.O. Box 1 - ABOR V/R (GHANA)
- Africa
Per eventuali offerte:
Collegio Missioni Africane - Procura delle Missioni - Vicolo Pozzo, 1 - 37129
VERONA C/c postale 10740371 specificando: per Padre Eugenio Petrogalli
missionario Comboniani nel Ghana.
“Carissimi, avvicinandosi la festa della nostra Redenzione, vengo di nuovo a
voi, per augurarvi una Lieta e Santa Pasqua, ricca della gioia e della pace di
Cristo Risorto.
Gesù e' morto per noi, per liberarci dal peccato e dalla morte, ed e' risorto
per noi, per farci rinascere a una vita nuova nella libertà dei figli di, Dio.
Dalla più grande sconfitta e' venuta la più grande vittoria. Questa e' opera
divina, sempre umanamente imprevedibile. La Pasqua e' la festa della vita nuova,
come una primavera spirituale che porta speranza e fiducia. Ci sentiamo
stimolati a viverla con particolare intensità all'inizio del terzo millennio,
con il coraggio della fede e della speranza cristiana.
Soprattutto vogliamo viverla con l'amore dì Cristo che ci spinge a portare il
suo messaggio e la sua salvezza a tanti che ancora non lo conoscono.
Prima, però, dobbiamo vivere noi il Mistero Pasquale di morte e risurrezione:
per rinascere a vita nuova, bisogna morire a noi stessi, al nostro egoismo, ai
nostri capricci e idoli.
Bisogna prima prendere la nostra croce quotidiana con fortezza morale e seguire
Cristo nella sofferenza per partecipare anche alla gloria della sua
Risurrezione.
Gesù ha fatto della sofferenza e della Croce il più grande segno di amore e lo
strumento di Redenzione. Non c'è amore pi grande di chi da' la vita per i suoi
amici.
Gesù ha salvato il mondo con la sofferenza e la croce: e' ancora per mezzo
delle nostre inevitabili sofferenze e croci, accettate con amore, che continua a
salvare
L' umanità di oggi: e' un discorso di fede quello che sto facendo, per invitare
voi, amici e benefattori ad offrire prima di tutto le vostre sofferenze
quotidiane come collaborazione alla vita missionaria. E di croci ne abbiamo
tutti.
E' il "dolore che salva", vissuto come collaborazione
alla redenzione di Cristo,
Quando la croce ci pesa, pensiamo a Gesù sulla Croce e a Gesù Risorto.
Portiamo con coraggio la nostra croce e non "trasciniamola",
lamentandoci continuamente.
Non siamo soli a portarla: c'è Gesù che la porta con noi e questo la rende più
leggera e meritoria. La nostra sofferenza acquista senso se e' unita alla
sofferenza di Cristo.
Abbracciando la Croce, abbracciamo il "Crocifisso".Con la Grazia di
Dio possiamo ottenere la forza di portarla con selenita e fiducia, con pazienza
e amore, con abbandono alla volontà di Dio, perfino con gioia.
Ci ha detto recentemente Papa Giovanni II
: "Per le persone di fede... il dolore non è solo un enigma e una prova;
per alcune persone è una misteriosa vocazione che esse vivono in stretta unione
con le sofferenze di Gesù".
Santa Teresa di Lisieux diceva poco prima di morire: "Godo di soffrire
perché so che con le mie sofferenze posso stare più vicina al mio Gesù e
posso portargli tante anime".
In questo ci è di grande esempio anche il Beato Daniele Comboni che diceva:
"Le croci sono il contrassegno delle opere di Dio... le opere di Dio
nascono, crescono e si sviluppano ai piedi della Croce". Senza la Croce non
c'è missione.
Dalla missione di S. Croce, in Sudan, scriveva ai genitori: Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si suda
e si muore per amore di Gesù e per la salvezza delle anime più abbandonate dei
mondo e' troppo dolce per farci desistere dalla grande impresa".
Verso la fine della sua vita scrisse ad un confratello:1o sono felice nella
Croce che portata volentieri per amore di Dio genera il trionfo e la vita
eterna".
Dove trovava il Comboni tanta forza nel patire e nell'affrontare tante difficoltà
e ostacoli? Dalla contemplazione di Cristo in Croce, Gesù Buon Pastore dal
Cuore trafitto.
Per avere un cuore missionario diceva: "Bisogna tenere gli occhi ben fissi
su Gesù in Croce e amarlo teneramente".
Perciò, amico mio, nella sofferenza o nell' inoperosità della malattia e della
vecchia, non scoraggiarti mai e non dire: la mia vita ormai e' inutile, non
serve a nulla".
Puoi sempre fare la cosa più importante al mondo: pregare e amare, offrendo le
croci quotidiane che ti portano al cuore della missione.
Carissimi, approfitto degli auguri pasquali per mandarvi anche qualche notizia
mia e dell'attività' missionaria. Di salute sto bene, meglio che in Italia:
dopo più di un anno, la malaria non mi ha ancora intaccato (nonostante i
sessanta anni ormai suonati).
Il lavoro non manca e mi da una certa soddisfazione, pur in mezzo alle scontate
difficoltà di ogni giorno. Collaboro nella parrocchia di Abor con Padre Peppino
e alcuni volontari laici, nei ventotto villaggi a me affidati.
L' attività pastorale
che e' essenziale,mi vede impegnato ogni giorno in un villaggio o nell'altro
per: - l'annuncio del Vangelo ai battezzati e non battezzati che sono ancora
tanti - amministrazione dei Sacramenti, specialmente la celebrazione della S.
Messa (due ore circa) - catechismo a centinaia di ragazzi in preparazione al
Battesimo, Prima Comunione e Cresima - incontri di formazione dei leaders,
specialmente dei catechisti (una sessantina e sono volontari) Oltre a questo,ci
sono incontri col comitato pastorale, preparazione di alcune coppie al
matrimonio,visita agli ammalati ecc...
Se ci fossero più sacerdoti, quanto bene si potrebbe fare! Ma lasciamo fare
allo Spirito Santo che e' l'agente principale, il protagonista della missione.
Per l'attività' di promozione umana , che e' parte integrante del l' evangelizzazione,
ci sono in cantiere vari progetti, sempre con la collaborazione della gente:
-
costruzione di due nuovi asili (oltre i due dell'anno scorso gia completati)
;
-
scavo di pozzi per l'acqua potabile (siamo gia al quindicesimo con grande gioia
della gente)
;
-
costruzione di una cappella e rinnovamento di altre (sostituzione dei muri di
creta con cemento);
-
aiuti all'ospedale (al quale abbiamo gia procurato un pulmino - ambulanza,
medicinali e strumenti);
-
un pasto al giorno per i bambini di una ventina di asili (a base di
polenta-riso-fagioli)
;
-
continua l'iniziativa delle adozioni a distanza (cinquecentomila lire all'anno):
però con quei soldi, oltre ad aiutare il bambino scelto , aiutiamo anche i suoi
compagni bisognosi
;
-
e poi ci sono tante altre persone che bussano alla porta: ciechi, zoppi,
handicappati, affamati ecc... e per tutti, pur senza essere paternalisti,
bisogna avere un cuore amico e una mano generosa.
Cerchiamo comunque di coinvolgere il più possibile le comunità nell'aiuto ai
loro poveri e ammalati, specialmente nei casi di emergenza.
Pensando a questi casi, mi viene in mente quanto mi scriveva di recente una
signora:" Quando vedo in Italia tanto spreco e consumismo, il mio pensiero
va a tutti quelli che devono lottare ogni giorno per la sopravvivenza" e
sono tanti!
Coraggio, diamoci una mano e facciamo insieme un po' di bene, ricordando le
parole di Gesù: "Qualunque cosa avrete fatto ad uno di questi miei amici,
l'avrete fatta a me". Si parla tanto di Quaresima di fraternità, con
impegni di solidarietà e condivisione. Preghiamo lo Spirito Santo che ci liberi
dal nostro egoismo e ci renda più sensibili e generosi. Se anch' io
posso fare dei bene, e' perché c'e' qualche anima buona che mi aiuta con
gesti di solidarietà concreta.
E' grazie a voi, alle vostre preghiere, sacrifici e offerte che la missione
continua".
Sentitevi anche voi missionari con noi, partecipi delle stesse gioie ansie e
speranze.
Cristo Risorto vi faccia testimoni coraggiosi e gioiosi del suo Vangelo e
insieme con Lui costruttori della "civiltà dell'amore".
Con Cristo non esiste la paura: c'e' invece fiducia e speranza in un futuro
migliore.
Questa e' la base del nostro ottimismo: Cristo e' Risorto! Cristo e' vivo!
Cristo e' con noi! Lui l'unica speranza dei mondo.
Cristo ci faccia uomini nuovi, dal cuore nuovo, per un'umanità nuova. Non mi
resta che augurarvi: Pace e bene e tanta gioia in Cristo Risorto. La gioia del
Signore sia la nostra forza.
Con un abbraccio” - PADRE EUGENIO PETROGALLI
__________________________________________________
S. NATALE 2001 – ANNO NUOVO 2002
Carissimi, è con gioia che mi faccio vivo per augurare a tutti voi un cordiale
Buon Natale e un Felice Anno Nuovo, nel cammino del terzo millennio della
Redenzione.
La
celebrazione del S. Natale sia un’occasione per rinnovare la nostra fede in
Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza e per dare un
senso al nostro vivere e al nostro sperare.
Il
Natale ci dice che il nostro Dio non è lontano da noi, non ci ha
abbandonati, non è ancora stanco degli uomini, ma è un Dio vicino, presente
nella nostra storia e solidale con ogni persona umana.
Il
Natale è la festa dell’amore di
Dio che ci ha dato il dono più grande: il suo stesso Figlio. Anche quest’anno
il Natale arriva in un mondo che ha bisogno urgente di essere salvato.
Siamo tutti scossi dagli avvenimenti tragici capitati nel corso di quest’anno
e spontaneamente ci interroghiamo sul futuro del mondo. Noi credenti, nonostante
tutti i problemi, difficoltà, sofferenze e dolori, andiamo avanti con fiducia,
perché il futuro è nelle mani di Dio, e Gesù è sempre fonte di speranza in
un’umanità nuova. L’Incarnazione del Figlio di Dio rivela la bontà, la
misericordia del Padre: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio
Unigenito, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”(Gv 3,16).
E’ questa l’essenza del messaggio cristiano, che è messaggio missionario.
La missione è nata con l’Incarnazione del Figlio di Dio, il primo e più
grande missionario del Padre. “La Contemplazione di
Gesù, il primo e più grande evangelizzatore, trasforma anche noi in
evangelizzatori” ha detto il Papa, riferendosi a ogni cristiano.
Tutti siamo chiamati a continuare nella Chiesa la missione di Gesù, a essere
suoi testimoni con la vita e la gioiosa proclamazione del Vangelo. Lo spirito
missionario non può essere lasciato da un gruppetto di “specialisti”, ma è
responsabilità di ogni membro del popolo di Dio. La missione non è compiuta:
è ancora agli inizi e richiede la collaborazione di tutti i cristiani. Chi ha
conosciuto la gioia dell’incontro con Cristo, non può tenerla chiusa in se,
ma deve irradiarla. Dare, donare, offrire
la vita come ha fatto Gesù per valori grandi e belli, è ciò che da senso alla
nostra esistenza ed è fonte di vera gioia. A che serve la vita se non per
essere donata? Il vero cristiano fa
della vita un dono d’amore. Cercar di fare felici gli altri è il segreto
della vera felicità. In un mondo dove ogni giorno notiamo ingiustizie, odio,
violenze, divisioni, guerre, terrorismo e tanta paura per l’avvenire, c’è
estremo bisogno di persone buone, generose ricche di umanità. Che annuncino e
testimonino l’amore di Dio e siano segno di speranza per tante persone
disperate.
Quanto a me, sono contento di spendere la mia vita in questa parte del Ghana, in
mezzo a gente povera e semplice, ma tanto accogliente e aperta al cristianesimo.
Con i miei sessant’anni suonati
sto entrando felicemente nella terza età. Grazie a Dio godo di ottima salute,
lavoro volentieri e serenamente, con una buona dose di “Mal d’Africa”
entrato ormai nel sangue. Quando altri se ne vanno in pensione. il missionario
non va mai in pensione. Fin che campa è servo di tutti, servo d’amore.
Sono ormai cinquant'anni che sono con i Comboniani, essendo entrato in Seminario
a dieci anni del 1951, a Rebbio di Como e non me ne sono mai pentito: da allora
la mia decisione è sempre stata: missionario comboniano, seguace del grande
missionario bresciano, il Beato Mons. Daniele Comboni. Ringrazio il Signore che,
nonostante tutti i mie limiti, miserie e debolezze, mi ha chiamato ad essere
missionario in prima linea, testimone del suo Vangelo e del suo amore. Non ne ho
alcun merito:”Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” ha detto Gesù.
Tutto è Grazie! Resto sempre meravigliato di fronte al grande dono che il
Signore mi ha fatto e ancora non ho finito di ringraziarlo per la gioia che
provo ad essere suo sacerdote missionario. Ringrazio anche quanti mi hanno
aiutato ad entrare in seminario e mi hanno accompagnato fino al sacerdozio e nel
lavoro apostolico, in particolare i miei famigliari. Ricordo tutti con tanta
gratitudine ed affetto. Alla mia età, anche se non è facile, sto imparando una
nuova lingua, il Twi, che oltre all’inglese e all’ Ewe, mi aiuta a
comunicare con nuova gente. Dal Comboni ho imparato che non bisogna mai fermarsi
e scoraggiarsi per le difficoltà, ma sempre andare avanti con fiducia nel
Signore.
Come ben sappiamo la missione principale della Chiesa è annunciare Cristo,
salvatore dell’umanità, luce del mondo, via verità e vita. La gente prima di
tutto ha bisogno del Vangelo, fonte di speranza e di vita nuova. Evangelizzare
è un atto d’amore.
Ma l’evangelizzazione si
manifesta anche nella promozione umana e sociale, fatta per amore di Cristo e
dei fratelli.
E qui vorrei ricordarvi alcuni progetti concreti, che porto avanti nella zona
che P. Peppino mi ha affidato:
- Continuo l’attività dei pozzi per l’acqua potabile, bene essenziale per
la vita umana. Però l’anno
prossimo ho già i soldi assicurati per questo
progetto.
- Sto costruendo il sesto asilo e ne ho altri tre in programma. Il materiale
più importante c’è già: centinaia di bambini: Mi mancano solo i
banchi e la scuola stessa. Se qualcuno mi da una mano, ben volentieri!
- Un pasto al giorno per oltre duemila bambini dell’asilo, il viso di questi
bambini è un inno alla vita ed all’amore. Per loro anche le piccole offerte
si trasformano in polenta, fagioli, riso ed anche cure mediche.
- Di recente ho iniziato una nuova comunità cristiana, in un villaggio dove
c’è tutto da costruire. Vorrei che almeno sorgesse un asilo, con incluso un
salone che serva anche da cappella.
- Una nuova chiesetta in muratura e tre cappelle in creta, ormai cadenti, da
trasformare in cemento.
Il tutto si compie con la collaborazione della gente, perché vogliamo rendere i
poveri protagonisti del loro sviluppo, ma hanno bisogno di un aiuto e di un
incentivo.
Mi fermo qui, per l’anno prossimo ne ho abbastanza di progetti. Ma poi
ci sono tutti quelli che bussano alla porta per tante necessità: poveri,
ammalati, ciechi, zoppi, handicappati, tanti studenti che chiedono un aiuto per
proseguire gli studi ecc. Come dare una mano a tutti? Datemi la vostra mano
e soprattutto il vostro cuore per continuare a fare del bene anche a nome
vostro, senza il vostro aiuto potrei fare ben poco. Le offerte che mi giungono
da varie parti sono tante piccole gocce, ma sono preziose perché messe insieme
fanno un mare di solidarietà. C’è posto per tutti ”Nessuno è così
povero che non possa dare qualcosa”, ha detto il Papa. Il buon Dio
benedica tutti quelli che hanno un po’ di buon cuore per questi nostri
fratelli più bisognosi. Sentitevi anche voi missionari con noi, partecipi delle
nostre difficoltà, fatiche e preoccupazioni, ma anche delle nostre gioie,
soddisfazioni e speranze per un futuro migliore. Sono certo che continuerete ad
essermi vicino non solo con l’aiuto materiale, ma anche con le vostre
preghiere e sacrifici quotidiani: anch’io vi ricordo al Signore ogni giorno.
Il buon Dio continui a benedirvi con tanta gioia, pace
e serenità, i doni più belli del Bambin Gesù. Sia il vostro un vero
Natale cristiano, libero di tanto cose superflue e futili della civiltà dei
consumi, per dare ascolto alle necessità di tanti fratelli, non sia
l’occasione di spreco egoistico. Dobbiamo essere persone che sanno rinunciare
al lusso ed al superfluo per aiutare chi è nel bisogno. Come si può avere un
mondo unito e in pace, un mondo che sia una famiglia, se una parte vive nel
lusso scandaloso e l’altra giace in estrema povertà? Non è una società
umana! Il Papa ci aiuta a guardare
avanti con fede e speranza dicendo:”Il mondo sta cambiando rapidamente, ciò
che ieri era impensabile, oggi appare a portata di mano. Facendo leva
sull’amore si può, con l’aiuto di Dio, trasformare il mondo”. Pregate
perché la missione in Abor possa essere un segno di questa vita nuova. Di
nuovo, auguro a tutti l’abbondanza dei doni portati da Gesù, il Salvatore:
amore, pace, gioia, serenità e tanta speranza in una società migliore, più
giusta e più fraterna. Maria, madre del Salvatore, “Stella dell’
Evangelizzazione” ci porti a Gesù e ci aiuti a guardare al futuro con fiducia
e ottimismo, per essere messaggeri e testimoni di speranza.
Vi saluto con tanta cordialità e riconoscenza. La gioia del Signore sia la
nostra forza.
Vostro PADRE EUGENIO PETROGALLI



Carissimi
sostenitori dei nostri bambini!
Come state?
Vi spero tutti
bene, nonostante le preoccupazioni esistenti in ogni famiglia. Qui la
situazione non va tanto bene, perché non è venuta la pioggia quest’anno. La
gente ha fame e non c’è abbastanza cibo. Anche le comunicazioni sono
precarie perché il telefono non funziona sempre.
Sembra solo ieri da quando vi mandai gli auguri di Natale e, ora siamo già
vicini alla Pasqua.
La nostra Pasqua, qui in Zambia, quest'anno si prospetta un po' triste e più
faticosa del solito, per il fatto che, non abbiamo avuto una buona pioggia e
così non c'e' cibo per sfamare la nostra gente. Quando vado per il mio
servizio pastorale nei vari villaggi, provo una grande sofferenza nel vedere
come, tanto lavoro faticoso, fatto manualmente dalla nostra gente, nella
coltivazione dei campi, sia stata inutile, solo perché non abbiamo avuto la
pioggia. Infatti, il granoturco, nei campi non e' cresciuto più di 30 o 40
cm. di altezza, quello che ha messo il fiore non e' riuscito a dare la
pannocchia; i campi di miglio non hanno dato il foro frutto. Tutto sta'
diventando secco per mancanza di acqua. Abbiamo comperato i semi di
granoturco per aiutare la nostra gente, vendendoli ad un prezzo motto basso
(questo perché non abbiano tutto gratis) ma una volta seminati, sono stati
bruciati dal sole che anche in questi mesi e' abbastanza caldo qui nella
valle: 45 gradi di calore all'ombra.
Nonostante tutto la gente non si arrende e continua a seminare sulle sponde
del fiume dove l'acqua si e' ritirata ed ha lasciato il terreno fertile.
Purtroppo, anche il fiume ha i suoi pericoli: coccodrilli, ippopotami ed
elefanti; quest’ ultimi due distruggono in continuazione ciò che la nostra
gente coltiva.
In questo momento, qui in Zambia, c’e' scarsità di farina per la polenta,
alimento principale della nostra gente, per cui la maggioranza non può
godere del sacco di "Unga"(farina). Data la scarsità il costo e' salito alle
stelle. Da parte nostra aiutiamo come possiamo e sopratutto aiutiamo i più
poveri; perché sono questi che purtroppo non riescono mai a sostenersi con
ciò di cui gli altri godono. Nella nostra zona rurale poi, non c’e' lavoro,
nelle famiglie spesso il marito non ha lavoro, così la moglie per sfamare i
figli, va al fiume a pescare e poi vende il pesce per poter comperare un po'
di farina e olio. Capita però che, mentre si pesca arriva il coccodrillo e
spesso succede che la gente muore portata via dai coccodrilli. L’altro
giorno una donna e' morta per lo stesso motivo; ha lasciato 4 bambini
piccoli. In questi ultimi 15 giorni ben 5 persone sono state prese dai
coccodrilli. Il fiume Zambesi e' motto popolato.
Vi ho voluto comunicare la fatica della nostra gente per sopravvivere;
accanto alla fatica però c’è in loro tanta speranza per un futuro migliore.
Questo e' il grande insegnamento che ci danno ogni giorno. Alla speranza si
aggiunge la grande capacità che hanno di accogliere la realtà quotidiana e
la perseveranza di poter un giorno migliorare. La Pasqua del Signore ci
trovi aperti ad accogliere la novità di vita che essa comporta e ci aiuti
nella fatica di lasciarci trasformare dal Signore.
Con riconoscenza ed affetto
Sr. Eleonora
Chirundu, 12 marzo 2002
Per ulteriori informazioni e/o aiuti potete scrivere o telefonare a:
GINO COMINI – Via della Fonte, 11 – 25075 Nave (Brescia) – Tel. 030.2534633
–
e-mail: ginocomini@tin.it - http:
www.hldesign.net/suoreleonora


della congregazione
ISTITUTO PICCOLE SUORE SACRA FAMIGLIA
Castelletto di Brenzone (Vr) Tel. 045.6589111
nata a Campo Novo - Brasile il 29.09.1961, svolge la sua attività missionaria a
Luanda in Angola educando e curando i bisognosi; chi volesse corrispondere con lei, può scrivere a:
Irmà Neli Zachert - Irmàs Sagrada Familia
Contrade Golf 2 - 22077 LUANDA - ANGOLA (AFRICA)
Tel. 00244-91507088 |